RESOCONTO EVENTO LIBERAMENTEPENSIEROPAROLA

 

In questa pagina vogliamo presentare una valutazione generale ed un bilancio dell’evento LiberaMentePensieroParola che abbiamo organizzato dal 31-10 al 3-11 2013. Tale esigenza nasce dalla natura stessa dell’evento proposto e vissuto, cioè dall’idea a cui si è cercato di dare corpo e dall’esperienza reale dell’idea stessa. E inoltre, aspetto di non poco conto, è esigenza che è stata espressa sostanzialmente da tutti coloro che hanno partecipato all’Evento.

 

Alcune premesse: la valutazione che qui andiamo a proporre è, almeno per il momento, frutto dei membri dell’Associazione che si sono assunti il compito di organizzare l’Evento. Lo è nella forma e nel contenuto del testo; e lo è “per il momento” perché l’intenzione è quella, già discussa con alcuni dei partecipanti, di accogliere qualora arrivassero i contributi di chiunque sia stato presente in quei giorni e pubblicarli tali e quali senza nessun tipo di intervento nostro (né correzione né censura). D’altronde, quanto verrà scritto da noi in questa sede terrà già conto di scambi di idee con alcune delle persone con le quali abbiamo condiviso tempo, spazio ed energie nell’esperienza dell’Evento. Infine, questo resoconto vuole essere il tentativo di fare una valutazione di quanto accaduto non solo fine a sé stesso (che così avrebbe in fondo limitato valore), quanto indirizzato a poter costituire la base di discussione e proposizione per migliorare l’idea iniziale che tutti quanti ci siamo detti voler rivivere in un appuntamento che speriamo possa diventare per lo meno annuale.

 

Da quest’ultimo elemento vorremmo partire: chi più chi meno, chi per alcuni aspetti chi per altri, ognuno inevitabilmente col proprio punto di vista, ci è parso che tutti siano andati via soddisfatti e sostanzialmente con un bilancio positivo; se altrimenti fosse e avessimo capito male, preghiamo di comunicarcelo e scriverlo che, come detto sopra, non avremo nessuna remora a pubblicarlo, perché (e non lo ripeteremo più) in questa sede non ci interessa presentare a tutti i costi un bilancio positivo quanto fare il punto della situazione (delle esperienze vissute) in modo da tentare di creare una seconda (e speriamo una terza, una quarta, e così via) opportunità all’interno di quello che nei nostri desideri potrebbe divenire un percorso di esperienza condivisa artistica e culturale. D’altronde, che vi sia stata soddisfazione generale non significa assolutamente che tutto abbia funzionato come era nelle aspettative iniziali, anzi: a più livelli e ambiti qualcosa non è andato per il verso giusto o per lo meno poteva venir realizzato meglio, in primo luogo a partire da noi dell’Associazione e da chi con noi figurava in veste di organizzatrice e ideatrice. Aggiungiamo anche che quanto ci accingiamo ad esporre in questa pagina potrà servire nelle nostre intenzioni a chi vorrà partecipare la prossima volta, non solo facendosi un’idea del tipo di situazione che ricerchiamo ma eventualmente anche proponendo suggerimenti e prenotando la propria presenza. In questo momento facciamo presente che da parte di Gianfranco, uno degli amici che ha partecipato a LiberaMentePensieroParola, è già stata avanzata la proposta di fissare a Maggio un secondo appuntamento, ma di questo ci occuperemo più avanti.

 

Ricordiamo quale era l’idea alla base dell’Evento: condividere liberamente all’interno di un gruppo di persone tempo, spazio e proposte artistiche/culturali, il che reca in sé inevitabilmente l’idea dello scambio umano, dell’esperienza tra persone diverse e in vari casi che mai si erano viste prima. Lungi dall’essere un’idea nuova ed originale – ma il fatto che un’idea non sia nuova non significa che non sia buona e valida da riproporre, e dunque che non ce ne si possa “appropriare” per farla propria vivendola in prima persona – essa contiene per natura, come ben si capirà, l’aspetto di costruzione dell’esperienza di condivisione; e proprio tale aspetto si delineava e si è delineato ancor più a conclusione dell’Evento come una sorta di esperimento sociale di un microcosmo che, seppur appunto molto micro, è stato tuttavia un vero e proprio cosmo. In altre parole, essendo in fondo il discorso delle relazioni umane il nodo centrale di LiberaMentePensieroParola, seppur partendo dalla proposta artistica (aspetto che ovviamente è a sua volta centrale e non da sottovalutare) inevitabilmente la maggior parte del suo contenuto e del suo bilancio si è giocato in questo campo. Aggiungiamo inoltre che va tenuto presente che tale "esperimento sociale" si è formato sulla presenza complessiva, anche se magari non sempre contemporanea, di 25 persone di varie età.

 

Vorremmo sottolineare il fatto, prima di dimenticarlo, che crediamo che il luogo sia stato importantissimo ai fini della riuscita dell’Evento perché piaciuto a tutti ed ha permesso comunque di vivere l’esperienza costantemente a contatto con la natura. A detta di molti, anche le case di cui ci siamo avvalsi (cioè le strutture dell’Associazione) hanno avuto un ruolo importante e positivo, sebbene in questo caso alcune opinioni hanno altresì sottolineato come avvalersi di più strutture possa aver contribuito in certi momenti a rendere un po’ dispersiva e disorganizzata la situazione. Perché, e questo è apparso chiaro in primis a noi, certamente siamo mancati in vari casi sul piano della riuscita organizzativa, e questo è un primo ambito di valutazione che volentieri vogliamo subito affrontare. Dicendo a tal proposito che questo aspetto comprende ovviamente un piano appartenente all’Associazione e a chi con lei ha proposto LiberaMentePensieroParola, ma che vi era anche un secondo piano che è quello della costruzione collettiva attimo dopo attimo di cui accennato sopra, vogliamo sottolineare un elemento, uno schema su cui eviteremo di tornare tutte le volte ma che diamo per scontato debba d’ora in poi considerarsi sempre presente.

 

Sul tema delle strutture la critica è stata che forse è risultato dispersivo avere due differenti luoghi dove si organizzavano i pasti e si tenevano le cibarie, il che effettivamente è vero ma, a nostro parere, non tanto perché ciò fosse sbagliato in sé, quanto perché si poteva semplicemente essere più precisi nel pensare all’organizzare la dispensa o le dispense. Infatti, e qui introduciamo un altro aspetto, è vero che sicuramente noi organizzatori siamo stati poco precisi in questo, ma è altrettanto vero che anche gli altri partecipanti sono mancati sul punto, e ci spieghiamo meglio: una cosa che è emersa per noi chiara è che il Manifesto inviato per mail e comunque disponibile sul sito dell’Associazione, che ai nostri occhi costituiva un elemento comunicativo facilmente ed oggettivamente comprensibile ed esplicativo, in realtà non lo è stato, vuoi perché non è stato letto bene, vuoi perché la comunicazione non sempre è così scontata come talvolta si può supporre. Questo aspetto si è effettivamente rivelato come uno dei tratti che, per lo meno ai nostri occhi, è maggiormente emerso da tutta l’esperienza, e ci fa dire che per motivazioni di diversa natura (che possono andare dal differente back ground personale al semplice utilizzo di codici diversi nonostante medesime parole formali) la comunicazione tra gli esseri umani si rivela più complicata di quanto si possa prevedere in situazioni collettive condivise, anche per le questioni più banali. La cosa è stata per noi effettivamente stupefacente, al di là di una nostra possibile dose di ingenuità, ma tant’è. Trattandosi di una condivisione tra persone diverse, la soluzione probabilmente non è così semplice da individuare né tantomeno potrebbe essere una sola, ma crediamo che abbia a che fare con un discorso in parte di metodologia e in parte di sforzo personale da parte di tutti. Si pongono i quesiti: si tratta di selezionare selettivamente chi debba partecipare? Si tratta di dover organizzare in tutto e per tutto dall’alto le dinamiche dell’esperienza condivisa? Le questioni sono delicate, prima di tutto perché urtano l’idea stessa che sta alla base dell’Evento. Tuttavia, la seconda è stata da più persone esplicitamente posta come un elemento che dovrà essere necessariamente presente in una prossima occasione di questo tipo. A nostro parere tale impostazione è condivisibile in parte, e la soluzione potrebbe essere trovata a metà strada: siccome l’idea in partenza era di lasciare libertà a tutti di costruire l’esperienza condivisa, dunque di renderla in qualche maniera esperienza creativa dall’inizio alla fine, passare all’estremo opposto di stabilire già in partenza tutti gli orari e le fasi ci sembra un fallimento; è però chiaro che, se chi partecipa non ha alle spalle un percorso personale capace, ad esempio, di rivelarsi in un certo tipo di responsabilità verso gli altri e la situazione condivisa, si fa fatica su molteplici aspetti anche banali, e questo è quel che è accaduto. Dunque, di conseguenza, è spiacevole dirlo ma ci rendiamo conto che diventa inevitabile e necessario impostare a priori alcune delle attività, a partire dagli orari dei pasti e da quelli della fruizione dei contenuti artistici. Nel caso nostro ammettiamo a malincuore di essere mancati in questo come Associazione, ma l’importante è che ci serva d’esperienza. Per non dilungarci ulteriormente sulla cosa, facciamo l’esempio pratico che se la cena termina quasi alle 23,00 e poi ancora bisogna allestire videoproiettore e impianto audio, con la presenza di bambini e di una donna incinta, con la prospettiva di altre proposte in programma la mattina dopo, inevitabilmente qualcosa rischia di non funzionare.

 

A questo punto, dato che questo non vuole essere un resoconto strettamente temporale, ci prendiamo la libertà di cominciare a introdurre alcuni dei contenuti artistici/culturali vissuti durante l’Evento. Tra questi non vi sono solo quelli portati e presentati, ma anche qualcosa che è stato sviluppato nel corso di quelle giornate, che da un certo punto di vista era uno degli aspetti che potenzialmente apparivano più interessanti. Qui di seguito presentiamo, visto che li abbiamo appena citati, un lavoro eseguito da Sale coi bambini: Vita: una V legata a una T.

 

 

 

 

 

Sale è stato tra coloro che han documentato con la sua macchina fotografica alcuni momenti dell'Evento. Tra le foto da lui scattate riteniamo degne di nota, quasi fossero un lavoro a sè stante, un gruppo di foto a foglie segnate splendidamente dai colori dell'autunno e uno ad alcuni bambù raccolti appositamente come materiale di cui servirsi ai fini di LiberamentePensieroParola; il fatto che non siano poi stati utilizzati è una delle note più spiacevoli dell'Evento, ma ciò non toglie che le canne in sè e le foto quì sottostanti riescano ad esprimere una loro propria bellezza che vale la pena testimoniare.

 

 

 

E già che ci siamo, possiamo mostrare un altro dei lavori realizzati sempre con foglie all'interno della Casa di Irene da parte dello stesso Sale (che le aveva anche raccolte) e da Ile:


 

 

In effetti, sebbene quanto ci eravamo proposti di realizzare nel corso dell'Evento è stato purtroppo in buona parte disatteso - e questo è un punto che già abbiamo accennato e su cui certamente torneremo - possiamo però dire che per fortuna e per nostro piacere alcuni di noi sono riusciti a creare delle situazioni in grado di produrre condivisione culturale durante il nostro stare insieme di LiberaMentePensieroParola. Abbiamo già accennato alla presenza di bambini e del loro riuscito coinvolgimento in alcune attività che, al di là di un singolo caso francamente poco comprensibile da parte nostra, hanno trovato riscontro positivo da parte di tutti come elemento riuscito e assolutamente naturale alla realizzazione del nostro stare insieme. Tra le attività di questo genere è da sottolineare assolutamente l'utilizzo di colori naturali, utilizzando in particolare ancora una volta delle foglie come matrici, che Adele e Martina (madre e figlia) hanno avuto la gentilezza di mostrare ed insegnare ai bambini. Sebbene loro siano state con noi solo una giornata (con in mezzo una notte), sono state una presenza apprezzata da tutti quanti, e noi come Associazione ci sentiamo assolutamente in dovere di scusarci con loro per non essere stati in grado di realizzare appieno quanto avevamo concordato insieme, come ad esempio la proiezione di materiale video che, per chi già aveva avuto il piacere e l'onore di visionare in altra sede, è stato davvero un peccato non aver potuto mostrare in questa occasione. Rappresenta questo uno degli aspetti su cui noi come organizzatori ci siamo ritrovati ad essere deficitari e su cui abbiamo capito che dovremo in futuro migliorare. Quì di seguito riportiamo alcune immagini del lavoro svolto da Adele e Martina coi colori, le foglie e i bambini.


 

 

Il contributo di Adele e Martina ci permette di proseguire lungo il collegamento tracciato dal colore naturale che si è presentato in altre forme nel corso di LiberaMentePensieroParola, e che abbraccia da una parte il contatto diretto con alcuni elementi del bosco circostante e da un’altra la dimensione della tessitura.

In effetti, sia coi bambini che con alcuni dei “grandi” c’è stato il tentativo di sperimentare l’estrazione del colore da bacche, foglie e quant’altro per poter tingere su carta o tessuto,e a questo hanno contribuito anche Maria e Sale oltre a Adele e Martina. Anche in una piccola esposizione di tessuti mesoamericani (di cui parleremo poco più sotto) era in parte presente l'elemento dell'utilizzo di colori naturali, e qui ci affacciamo sul discorso della tessitura, aspetto fondamentale pressoché in ogni cultura dell’umanità che si radica sul piano del sacro, che abbiamo avuto presente in quei giorni in due diverse proposte. Una quella di Maria che ha voluto tentare di proporre l’esperienza del tessere con un approccio leggero ma non per questo non rivelatosi in certi casi meditativo e coinvolgente come l’arte del telaio sa fare e naturalmente reca in sé di per sé. Sebbene anche in questo caso il progetto iniziale non sia stato esattamente realizzato come ci si era proposti, tuttavia è riuscito a coinvolgere sia nella preparazione che nella pratica più persone, assumendo così un carattere collettivo: nella preparazione procurandosi vecchi vestiti e tessuti prima, e tagliandoli a strisce dopo, e nella pratica mettendo al telaio non la sola Maria ma anche altri, in particolare il piccolo Ashraf. Il telaio è stato costruito sul modello di un telaio a cintura in cui la trama è stata realizzata con le citate strisce di tessuti vari, dunque in forma grossolana e con materiali di recupero. Alla fine Ashraf si è così immerso nella cosa che se l’è portato a casa da terminare!

 

 

 

Il telar de cintura: questo è il nome tradotto in spagnolo per questo tipo di telaio che a tutt’oggi viene usato dalle donne delle popolazioni tradizionali indigenas dell’America Latina, che si struttura con un capo generalmente fissato ad un albero o palo e l’altro alla vita della tessitrice grazie ad una grossa fascia di cuoio. Nella sede sociale è stata allestita, come già detto, una piccola esposizione di tessuti e vestiti del Messico e del Guatemala per la maggior parte espressione dell’area maya di quei paesi. Abbiamo così avuto la possibilità di apprezzare un piccolo spaccato dell’arte tessile mesoamericana che, nella sua attualità, ci connette direttamente ad un tempo altro che affonda le proprie radici a prima della Conquista, e che con i suoi colori, i suoi simboli e i suoi differenti stili ci mostra nell’apparente diversità delle forme quello che anche noi avevamo e abbiamo perduto. Consapevoli o no di quello che i presenti avevano sotto gli occhi, al di là della bellezza istintiva che questi pezzi emanano di per sé, questo è quello che gli si è voluto proporre.

 

Dall'alto a sinistra: huipil di Chichicastenango (Guatemala), huipil di Nebaj, particolare (Guatemala), huipiles di Chichicastenango e Tactic, particolare (Guatemala), sarape di Patzcuaro, particolare (Mexico), huipil di San Lucas Atitlan (Guatemala), vestito completo da donna e blusa per bambina di Zinacantan (Chiapas, Mexico), particolare di pantaloni patchwork di Chichicastenango (Guatemala), tessuto ricamato di San Andres Larrainzar (Chiapas, Mexico).

 

In alcune comunità tradizionali dell’America Latina, come ad esempio i Kogis della Sierra Nevada de Santa Marta in Colombia, si applica il concetto di tessitura alla sfera delle relazioni umane, ricercando el tejer palabras, “il tessere parole”, e questo è proprio ciò che anche noi ci proponevamo di fare nei giorni dell’Evento:  tessere relazioni cercando di far nascere qualcosa di bello, per il momento e anche per il dopo; e possiamo dire che questo è accaduto. È accaduto ovviamente a partire dalle dinamiche normali di una qualsiasi convivenza quotidiana, come ad esempio la cucina e saper tenere in ordine gli spazi utilizzati senza che qualcuno dovesse dire a qualcun altro di farlo, ma in quella situazione particolare erano presenti anche aspetti non esattamente normali per tutti, o per lo meno che non potevano essere dati per scontati, tra cui forse quello più evidente è stato quello del procurarsi la legna sia per scaldare le case che per accendere il falò all’esterno della Casa di Irene. Sebbene l’Associazione avesse provveduto a preparare una riserva di legna per assicurare a tutti la possibilità di scaldarsi anche in caso che la pioggia ci avesse impedito di procurarcela al momento, abbiamo comunque coinvolto alcuni dei partecipanti nella raccolta, il trasporto e il taglio dei tronchi reperiti nel bosco circostante. Sicuramente questo genere di cose ha favorito il reciproco conoscersi anche tra chi mai si era visto prima, e la condivisione dell’impegno e della costruzione delle dinamiche dell’Evento che, inevitabilmente, dovevano passare proprio dagli aspetti più comuni e quotidiani per riuscire. La legna è, per noi che ad Olzera viviamo, un elemento fondante e quotidiano dei mesi freddi, e dunque registriamo il positivo coinvolgimento delle persone che erano con noi sia nella fatica del procurarsela sia nel piacere di usarla per scaldarsi e cucinare con la cucina economica (non solo paste e risotti ma anche buonissimi pani cotti nel suo forno). Aggiungiamo inoltre che la dimensione “bucolica” che siamo stati in grado di offrire agli ospiti si è avvalsa anche dei prodotti del nostro orto, il che ha certamente contribuito sul piano della qualità dell’alimentazione.

 

 

 

 

Sostanzialmente possiamo dunque affermare che le dinamiche quotidiane in sé per sé sono state costruite abbastanza bene a livello di autogestione generale – anche se, dobbiamo dire, quelle poche mancanze che abbiamo dovuto registrare avremmo la tentazione di assegnarle alla categoria “fisiologiche”, e invece val la pena di definirle per quello che veramente sono state: incapacità di comprendere pienamente le esigenze collettive (cosa che ha spesso a che fare col percorso personale di ognuno), il che sfiora inevitabilmente la mancanza di rispetto – ma come inizialmente già menzionato non sempre siamo stati tutti in grado di tenere conto del contenuto artistico e ad esso rapportarle.

 

Senza ulteriormente dilungarci su questo tema, c’è probabilmente una riflessione da fare solo sulla questione della gestione del cibo dal punto di vista della contribuzione. L’idea iniziale era quella che ognuno contribuisse portando qualcosa da mangiare (ovviamente da condividere tutti insieme), e se ce ne fosse stato bisogno dando per scontato che venisse fatta una spesa (o delle spese) in comune, da intendersi non necessariamente come della totale collettività ma anche, se fosse capitato, di poche persone che magari avrebbero potuto realizzare così il loro contributo partecipativo qualora ce ne fosse stato bisogno e non avessero trovato altra forma di farlo (ad es.: non ho portato niente perché non ho potuto, serve l’olio, compro l’olio). In realtà, senza che ci sia parso che alla fine si siano creati particolari problemi, abbiamo però avuto l’impressione che la cosa potesse essere gestita un po’ meglio, più che altro perché vi è stato chi ha pensato di fare ancor prima dell’inizio dell’Evento una spesa generale. Ora, essendo arrivate le persone scaglionate in giornate diverse, è ovvio che risulta difficile dividere una spesa di tale tipo tra tutti, anche perché d’altronde ognuno è giunto bene o male con un suo contributo in cibo. Per quanto riguarda l’Associazione, poi, non sappiamo se tutti si siano resi esattamente conto che, oltre all’orto già menzionato, come contributo noi si sia messo a disposizione cibo già presente nelle nostre strutture (ad es. olio, grana, formaggi vari, farine, patate, etc.). Siccome il denaro è sempre un elemento che rischia di creare malintesi, qualcuno ha suggerito che si sarebbe potuto eventualmente stilare una lista di ciò che serviva in modo che ognuno avrebbe potuto incaricarsi di procurare uno o più particolari prodotti. Effettivamente la questione può essere affrontata meglio in futuro ma è difficile dire come, più che altro proprio per il fatto che non tutti potrebbero ancora una volta giungere insieme e partecipare lo stesso numero di giorni. Riteniamo che di per sé l’idea del contributo volontario sotto forma di cibo sia un’ottima idea, probabilmente anche quella di una lista di singoli prodotti di interesse comune (come potrebbe essere il vino) il cui approvigionamento potrebbe essere affidato ad alcune persone, meno quella di una spesa generale di qualche singolo come avvenuto in questa occasione. Inoltre, pensiamo che varrebbe sicuramente la pena creare da subito una cassa comune dedita al procurarsi ciò che può essere di necessità generale (ad es. olio, sale, carta igienica, etc.), ovviamente riservandoci di elaborare in futuro la maniera migliore per impostarla.

 

Aprofittiamo a questo punto per fare una piccola parentesi e ringraziare tutti coloro che si sono preoccupati di lasciarci dei contributi economici per le spese vive dell'Associazione (nonchè di chi con noi ha organizzato LiberaMentePensieroParola): non era scontato e nemmeno dovuto, specie per chi è venuto da lontano, viaggiando magari in aereo, o sapendo che ogni giorno deve andare avanti mantenendo un figlio. Grazie davvero, ci avete aiutato ad coprire le spese di luce, gas ed acqua, e tanto ci basta. Grazie ancora.

 

Torniamo adesso volentieri a parlare di ciò che è stato presentato. Sicuramente ha prevalso la presenza di materiale video di varia natura portatoci da persone diverse con percorsi diversi, in particolare da Marcella, Gianfranco ed Antonella. Per la presentazione abbiamo utilizzato sempre un videoproiettore che ci ha consentito una buona qualità e la possibilità per tutti di poter assistere bene alle proiezioni. Nel caso di Antonella e Gianfranco, avendo presentato materiale comune ed anche per non appesantire eccessivamente questo resoconto, abbiamo deciso di dedicar loro una pagina specifica in cui è possibile visionare il loro contributo artistico (Gianfranco Lattuneddu e Antonella Padulano).

Per quanto riguarda Marcella Barbieri, il suo intervento la prima sera è stato giudicato estremamente interessante perché ci ha parlato della sua esperienza ventennale come direttore della fotografia nel campo del cinema e della pubblicità, dando la possibilità a tutti noi di avere un piccolo spaccato di questi ambiti dall’interno, rispetto ai quali siamo invece generalmente osservatori esterni, includendo in questo sia gli aspetti tecnici di come era stato realizzato il materiale in visione, sia quelli delle dinamiche umane, professionali e contrattuali degli ambienti in questione. Se consideriamo che sostanzialmente a detta di tutti il livello tecnico dei video musicali e dei cortometraggi propostici era alto, si può comprendere come sia stato interessante sentire Marcella raccontare il suo lavoro.

 

Un momento molto particolare è stato rappresentato invece da un lavoro audio che hanno portato Marta e Karl, sia per la natura dell’opera in sé sia per ciò che essa ha smosso tra alcuni di noi (o, in diversa misura e forma, tra tutti noi). Il lavoro si è presentato come qualcosa di molto particolare, chi scrive lo ha interpretato un lavoro sonoro, ma ci rendiamo conto che ognuno lo ha percepito (e dunque definito) in maniera personale, ad esempio per alcuni si è trattato di musica. Ovviamente è impossibile descrivere un lavoro basato su suoni, ci limiteremo perciò ad alcune considerazioni sull’esperienza. Innanzitutto abbiamo utilizzato un impianto composto da mixer e casse da studio, dunque il livello audio a disposizione era altissimo; ciò nonostante, non avendo avuto moltissimo tempo a disposizione per preparare la situazione, ad ascolto ultimato gli autori si sono rammaricati per non essere riusciti a mettere in rilievo alcune tracce audio (in particolare vocali) che reputavano molto importanti. Detto ciò, il lavoro si componeva di un tappeto sonoro (definizione nostra) su cui intervenivano di quando in quando brandelli di voci/interviste sullo sfondo del tema “chi in tempo di crisi non vive la crisi”. L’effetto complessivo era certamente molto acido, l’ascolto è stato fatto al buio, è durato circa mezz’ora, e gli autori avevano avvertito prima di cominciare che sarebbe stato normale aspettarsi reazioni diverse al lavoro e che tutte avrebbero avuto ragione di essere.

In effetti così è stato e possiamo dire che la situazione sperimentata, nel bene e nel male, è stata estremamente interessante. Nel bene perché il lavoro ha sicuramente rappresentato una proposta di grande livello, e nel male perché è stato motivo di conflitto tra alcune persone. La natura dell’opera, come già detto acida o, se vogliamo, psichedelica, è riuscita evidentemente a smuovere elementi molto particolari in alcuni di noi. Sostanzialmente possiamo registrare che tutti, ognuno nella propria maniera, siamo stati bene durante l’esperienza, ma mentre per alcuni l’ascolto doveva essere rigidamente attento e silenzioso, per altri invece ha dato il la ad una reazione divertita, giocosa e rumorosa. Su questa disparità di atteggiamento si è innescato, è spiacevole doverne parlare, una discussione accesa divenuta anche litigio vero e proprio, e tra chi scrive risiede colui che la ha innescata. Ora, al di là del rammarico di essere stato protagonista della vicenda, risulta interessante la valutazione conseguente all’episodio, e che ha a che fare non solo con la capacità (per niente scontata!) di condividere, ma anche con l’idea che ognuno di noi ha rispetto alla fruizione dell’opera artistica. È evidente che non vi è in assoluto un giudizio o una reazione giusta di fronte all’arte, nessuno può affermare che cosa è bello o brutto in assoluto, e conseguentemente come porsi e reagire di fronte al bel bello o al brutto. Nel caso specifico, tenendo anche conto che Marta stessa aveva certamente messo in conto la possibile (o certa?) differenza di reazione di fronte alla propria opera, e non sembrerebbe essersi ritenuta offesa per il fatto che qualcuno rideva durante l’ascolto di essa. D’altronde, la discussione era nata da un discorso più generale riguardo all’atteggiamento da tenere rispetto ad una situazione come quella che ci eravamo tutti proposti di vivere: condividere tutto certo, ma ponendo al centro il discorso artistico/culturale. In questo ambito rientra il tema già sopra menzionato del sapere organizzare complessivamente le dinamiche generali (ad es. orari, pasti, etc.) tenendo conto che c’è qualcuno che è venuto portando un proprio contributo artistico e che a lui, come a tutti gli altri, bisogna portare rispetto, specialmente ma non solo se si considera che magari è venuto da lontano. Il tema non è facile e non è facilmente risolvibile in “bianco e nero”; tuttavia, al di là dell’errore riconosciuto e della conseguente assunzione di responsabilità per aver innescato la discussione accesa di cui sopra, riteniamo che se si ha l'ambizione di creare situazioni culturali di qualità e di crescita bisogna sapersi sforzare di non restare ad un livello banale – non diciamo basso ma banale – e questo passa inevitabilmente per il saper dimostrare una certa professionalità che non significa aver la pretesa di essere il Grande Artista ma semplicemente di provare a fare le cose con qualità e rispetto per gli altri e le loro opere, consapevoli dell'esistenza di un aspetto che potremmo definire tecnico che va curato perchè senza non si va da nessuna parte.

 

A questo ambito appartiene anche un altro genere di osservazioni che, in forme diverse, è stato avanzato da più persone noi compresi, e cioè l’aver in certi momenti fatto emergere maggiormente l’aspetto della festa su quello dell’evento artistico. È un tema questo che ha di fatto a che fare con riflessioni già presenti in questo lavoro (a partire dall’autoconsapevolezza delle motivazioni di ciascuno sulla propria partecipazione), ci limiteremo a sottolineare come la questione dovesse trovare semplicemente un punto di equilibrio (e non certo bandire la voglia di celebrare), e come sicuramente tutti quanti non si sia riusciti a regolare l’elemento del vino, dato che ne avevamo a disposizione in grandi quantità, che forse in certi momenti ha un po’ troppo prevalso. Per il futuro l’idea sarà sicuramente non tanto quella di bandire il vino dalla tavola, quanto quella di ridurlo ad una componente piacevole senza che diventi esagerata.

 

 

Il lavoro è in fase di aggiornamento, provvederemo al più presto a completarlo con ulteriori contributi, grazie.

Intanto segnaliamo che abbiamo allestito due pagine all'interno di questa che provvederemo ad integrare meglio nel lavoro complessivo: una sui lavori a base di china e acrilico mostratici da Gianfranco Lattuneddu e il lavoro video da lui presentato con Antonella Padulano, e l'altra riporta la pagina di presentazione di LiberaMentePensieroParola che illustrava l'idea dell'evento in fase di progettazione. Alle pagine: Gianfranco Lattuneddu e Antonella Padulano e Presentazione dell'Evento