In Xochitl in Cuicatl - Viaggio in Messico

29.01.2014 19:29

 

Questo è il primo di una serie di articoli che presentiamo come esperienza di viaggio e di vita in Messico, esperienza che sarebbe meglio declinare al plurale dato che l'autore, vista la gran passione nutrita per questo paese e in generale per l'America Latina, ha trascorso molto tempo al di là dell'Oceano a più e più riprese...

Il titolo del lavoro è una frase nauatl incontrata nel Bosque de Chapultepec (Città del Messico) che significa "Nel canto nei fiori". E' espressione  che metaforicamente esprime l'idea di arte, poesia e simbolo, e di cui troviamo riferimenti in vari poemi, in particolare ne "Il fiore e il canto" e le riflessioni di Nezahualcòyotl, re, poeta e filosofo della città di Texcoco. Nelle sue parole traspare l'idea che In Xochitl In Cuicatl vuole esprimere, cioè il tentativo di scoprire e afferrare la realtà vera, la radice della vita che sta oltre ciò che è passeggero e mortale: "Alla fine comprende il mio cuore: ascolto un canto, contemplo un fiore, Dio voglia che non appassiscano!"

di Enzo Cangialosi

 

No basta una vida para comprender Mexico

No basta una vida para comprender Mexico.

Questo mi son sentito dire da un amico a S. Cristobal de Las Casas, città bellissima dello stato di Chiapas, Mexico. In questa semplice frase c’è racchiusa la chiave, o le chiavi, attraverso le quali poter tentare di afferrare la complessa realtà dello stato messicano; solo tentare, perché forse davvero nemmeno in una intera vita sarà possibile riuscire a capire del tutto un paese che, per i parametri europei, è qualcosa di completamente diverso, altro, sfuggente, ormai sconosciuto. Uso l’espressione ormai sconosciuto perché, almeno sotto certi aspetti, un paese come il Messico ripropone agli occhi occidentali una dimensione umana che è stata oramai dimenticata, cancellata dalla direzione impressa alla nostra storia dal cosiddetto sviluppo e progresso della civiltà nel corso degli ultimi secoli; questa cancellazione, che si avvicina moltissimo ad una specie di tabula rasa culturale e sociale, ha privato le società e le comunità occidentali di aspetti che io reputo fondamentali a livello di relazione quotidiana tra gli individui, aspetti che rendono e continuano a rendere, laddove ancora sopravvivono, la vita delle persone e delle comunità più piena, umana, interessante, più vicina al cuore della nostra natura e a quello della vita stessa in relazione al mondo in cui veniamo alla luce.

In che cosa consiste questa complessità che caratterizza Messico fino a far dire che non è sufficiente una vita intera, nemmeno per un Messicano, per riuscire ad afferrare completamente tutta la natura di questo grande paese che è grande più di tre volte l’Italia? I livelli e gli aspetti di questa complessità sono vari e toccano diversi ambiti della società, della storia, della cultura. Si cominci col pensare alla struttura base (e molto generica) della società messicana: mentre la nostra è una società di bianchi che solo negli ultimi decenni ha visto trasformarsi con l’arrivo e la presenza di altri colori, pensieri, religioni, culture e abitudini per il fenomeno, diverso nelle sue modalità nei vari paesi europei, dell’immigrazione, quella messicana è una società in origine indigena che è stata conquistata dai bianchi, ai quali è riuscita a sopravvivere a differenza di altre zone dell’America Latina, la quale si trova per il percorso della storia ad essere oggi formata da tre fondamentali componenti che sono: quella indigena, quella bianca e quella mestiza, quest’ultima essendo a tutti gli effetti una nuova creazione nata dall’incontro tra le altre due e che caratterizza in grandissima parte la popolazione messicana. Se già così è possibile intuire la complessità e alcune implicazioni legate ad una realtà di siffatto tipo, si aggiunga il vero elemento, almeno ai miei occhi, che rende il tutto estremamente peculiare ed eterogeneo: la componente indigena è a sua volta composta ufficialmente da 62 differenti etnie, che probabilmente, di fatto, raggiungono invece un numero vicino alla novantina!!! Una società di questo tipo è qualcosa a noi sconosciuto, non possiamo minimamente avere un’esperienza diretta culturalmente e storicamente di una tale varietà sociale e culturale, avendo ad esempio in mente che solo nel ceppo di origine Maya esistono diversi dialectos, abiti e tradizioni differenti che spesso, almeno per quanto riguarda la lingua, fanno fatica a capirsi tra di loro. Appena tornato da quattro mesi e mezzo di Messico mi sono sentito chiedere con stupore da un amico francese al quale stavo raccontando alcune cose del Chiapas: “Ma perché, si vedono in giro?”, in riferimento agli indigenas, convinto chissà perché che le popolazioni originarie di quella parte di mondo fossero state spazzate via completamente dalle genti bianche, e che nel 2010 fosse ormai impossibile poter concepire forme e strutture sociali tradizionali che non siano quelle del modello occidentale/bianco moderno. In realtà tale stupore non è del tutto ingiustificato dato che in altri paesi latinoamericani la Conquista ha effettivamente prodotto un genocidio dei corpi e delle culture; si pensi ad esempio all’isola di Cuba, primo centro coloniale spagnolo dove già nel giro di pochi anni tutta la popolazione locale era stata uccisa dallo sfruttamento fisico schiavista e dalle malattie portate dall’Europa. Tuttavia, senza che questa sia una colpa, in questo stupore si cela tutta l’ignoranza rispetto alla realtà, o alle realtà, del mondo che sta oltre i nostri confini e che però ha subito la nostra indebita e non richiesta pressione ed influenza.

Credo che nel cercare di comprendere la realtà messicana e in generale di tutta quell’area di mondo che è l’enorme continente americano, si debba per forza di cose partire dal momento ufficialmente considerato iniziale dell’incontro/scontro tra le culture indigenas e bianca, quello che noi chiamiamo scoperta dell’America e che loro, giustamente, chiamano invece la Conquista. In questa diversa definizione del medesimo evento storico è racchiusa non soltanto la spiegazione di ciò che fu ma anche, almeno in buona parte, di ciò che è e che continua ad essere.

Da questo punto di vista, cioè la prospettiva storica, il Messico occupa una posizione estremamente interessante proprio in relazione all’intero continente americano che percorre il globo terrestre da un polo all’altro: il Messico è l’inizio della storia moderna delle terre americane, tutto ha inizio da lì, quello è il principio, il riferimento e la matrice di tutte le dinamiche che si sono innescate e sviluppate nel resto dei territori latinoamericani, che ovviamente nel corso dei pochi secoli della loro storia moderna hanno anche avuto le loro specificità, ma l’origine, la madre di ognuna di loro è racchiusa nel Valle de Mexico dove sorgeva la grande Tenochtitlàn, la meravigliosa capitale mexica per la quale gli occhi di Hernan Cortes versarono lacrime mentre le sue braccia distruggevano e davano alle fiamme le sue case, i suoi ponti, i suoi palazzi, i suoi templi.

 

 

El Valle de Mexico, più o meno luogo centrale nella geografia di quel territorio, più o meno luogo centrale dell’intero continente, centro di potere fin dai tempi più antichi, prima ancora che arrivassero dal nord le popolazioni mexicas (questo è il nome che davano a sè stessi quelli che gli spagnoli chiameranno Aztechi) e per questo luogo sacro, uno dei luoghi sacri della Terra, uno dei centri di potere dell’umanità e della sua storia. Questo genere di posti non ha tempo, non ha un inizio e una fine, sono e basta. El Valle de Mexico continua ad essere quello che è sempre stato, anche se adesso al posto della grande Tenochtitlàn sorge e si nutre mostruosamente l’enorme Ciudad de Mexico, la megalopoli per eccellenza, el Distrito Federal, el D.F. come normalmente viene chiamata, questa entità abnorme eppure in qualche maniera sfuggente tanto che nessuno sa veramente a quanto ammonti realmente la sua popolazione effettiva (10, 20, 26 milioni? Bho?) e che racchiude nei suoi incerti confini circa un quarto/un quinto dell’intera popolazione messicana, così abnorme da costituire uno stato a sé, el Distrito Federal appunto.

Nelle lacrime di Cortes, nel D.F. che sorge nel luogo dove era stata costruita la grande Tenochtitlàn, nello spazio che si apre tra le espressioni scoperta e Conquista dell’America, in quello che persiste tra le pelli blanclas e morenitas (non sempre e necessariamente con accezione negativa), nelle realtà dei pueblos delle campagne dove in una mano sta il machete e nell’altra il cellulare, in tutto questo si può intravedere e cogliere la natura particolare e per certi versi misteriosa della realtà messicana, particolare e misteriosa perché non è solo la realtà del Messico di oggi, ma anche del Messico di ieri: questo è ciò che in varie forme mi colpisce di quel paese, che il suo ieri e il suo oggi sono spesso indistinguibili, inestricabili, che continuano a coesistere in una maniera assolutamente reale e quotidiana; el tiempo de Mexico è in un certo senso né ieri né oggi secondo la nostra concezione del tempo, semplicemente è un altro tempo. Forse è un tempo la cui natura continua ad essere la stessa di quello che stavano vivendo i Mexicas e il loro imperatore Moctezuma quando arrivò Cortes, chissà. In ogni caso, è di questo tempo e di tutto quello che ho visto e conosciuto muoversi in relazione ad esso che voglio scrivere.

 

In alto: Cortés, Hernán (1485-1547); Peypus, Friedrich

1524: [Mappa di Tenochtitlan e della costa settentrionale del Golfo del Messico.] [Pubblicato in Praeclara Ferdinadi Cortesii de Noua maris Oceani Hyspania narratio sacratissimo, ac inuictissimo Carolo Romanoru[m] Imperatori semper Augusto, Hyspaniaru[m] &c. Regi anno Domini M.D.XX. transmissa.] Nuremberg.

A sinistra: Bonampak, particolare di un affresco (cultura maya) - foto Alex Pol.