La nascita della civiltà

20.06.2018 10:12

Il  testo qui presentato vuole tentare di proporre una modesta analisi del processo di nascita della civiltà che, per quanto ne sappiamo, maturò per la prima volta nella storia nel contesto mesopotamico. Modesta perchè l'argomento è molto complesso e vasto, e dunque si focalizza inevitabilmente l'attenzione su alcuni aspetti tralasciandone altri.

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Introduzione

 

Vari indicatori di vari ambiti portano ad identificare nel periodo a cavallo tra il IV ed il III millennio a.C. nel Vicino Oriente Antico la fase ed il teatro d'azione cruciali per il passaggio dalla preistoria alla storia dell'umanità, che quasi per definizione coinciderebbe con quel balzo in avanti che chiamiamo civiltà. Tale concetto è, a mio parere, opinabile, sebbene sia innegabile che lo stesso popolo che ne fu protagonista, i Sumeri, guardasse alla propria vicenda e a sé stesso in tali termini. Sulla questione di cosa sia "civiltà" e della sua nascita nel percorso dell'umanità dibatteremo più avanti, ma certamente è utile per il momento entrare subito nella concezione sumerica del proprio vissuto sociale, politico ed economico.

I Sumeri erano consapevoli di essere stati i protagonisti di un balzo in avanti rispetto agli altri popoli e nell'ambito della vicenda umana in generale, e adducevano essenzialmente a tre fattori tale scatto evolutivo: la nascita della scrittura, l'urbanizzazione e l'istituzione della regalità. Sono questi, effettivamente, tre aspetti di un unico processo storico, non per forza sviluppatisi con la medesima tempistica, che portano le popolazioni sumeriche a sviluppare piuttosto rapidamente una vera e propria rivoluzione culturale ed organizzativa mai vista prima di allora, per lo meno per quanto ci è dato sapere dati alla mano. Anticipiamo fin d'ora che tale rivoluzione, che in sintesi potremmo anche definire "urbana", altrettanto rapidamente "contagiò" tutti i territori limitrofi alla terra di Sumer e i popoli in essi presenti.

La nascita della scrittura è lo spartiacque che per definizione si situa tra la preistoria e la storia: quest'ultima nasce quando l'uomo documenta ciò che accade, e perché ciò sia possibile è necessario un mezzo di comunicazione, cioè la scrittura. Contrariamente a quanto potrebbero pensare molti, l'esigenza primaria che porta all'invenzione della scrittura non pare essere stata di carattere culturale in senso stretto, bensì economico: l'incremento della produzione agricola e pastorale, ma anche di beni d'uso quali manufatti di terracotta, tessili, attrezzi da lavoro, etc., ebbe come conseguenza l'accumulo in primis dei prodotti alimentari, in una forma mai conosciuta prima. Tale accumulo necessitò di forme organizzative nuove ed effettivamente di livello superiore rispetto a quelle appartenenti alla dimensione del semplice villaggio rurale o del clan, sia che queste fossero di tipo stanziale o nomade. Per farla subito breve, la creazione di magazzini centralizzati dove accumulare e distribuire le merci necessitò per forza di un'attività di registrazione delle stesse: tra le diverse forme inventate a soddisfare tale scopo, vi fu inizialmente l'uso di segni pittografici per identificare le merci in questione (es.: una pecora per le pecore, una zappa per le zappe, etc.), che attraverso varie fasi finirono per venir sviluppati in una forma più complessa, quella del logogramma. Il supporto che venne adottato e meglio si prestò allo scopo fu l'argilla, semplicemente per il fatto che Sumer abbondava di questo materiale, e la scrittura, per il fatto di essere praticata incidendo tavolette di argilla fresca e di apparire così come un'insieme di chiodi stilizzati, viene convenzionalmente definita cuneiforme. A tutti gli effetti, in questo momento l'uomo sumerico si rende conto di poter fare anche altro con questi logogrammi, di poter andare oltre il solo ambito commerciale, di poter comunicare anche altri tipi di dati o informazioni: possiamo affermare che il processo di invenzione della scrittura è, a questo punto, giunto ad un livello sufficientemente compiuto per sfociare in una vera e propria creazione letteraria, scolastica ed artistica.

La cosa apparentemente incredibile è che fin dal principio i Sumeri "scrissero tantissimo": la produzione letteraria e l'attività scritturale in generale1 furono veramente molto copiose, motivo per il quale noi siamo in grado di avere una quantità enorme di informazioni sulla Mesopotamia antica, anche perchè, l'altra cosa che colpisce davvero molto, è che tale invenzione si diffuse nel giro di pochi secoli anche tra diverse popolazioni confinanti. Tutto ciò comportò una serie di dinamiche piuttosto complesse in diversi ambiti, che portarono ad un mutamento profondo delle varie società del Vicino Oriente Antico nella loro totalità. Si pensi, ad esempio, alla creazione di scuole in territori relativamente lontani – potremmo citare il regno di Ebla in Siria – dove insegnanti sumeri trasmettevano il proprio sapere, la scrittura cuneiforme veniva adattata alle lingue locali (ad es.: utilizzo dei fonemi sillabici sumeri per rendere vocaboli locali), venivano creati veri e propri dizionari bilingue e in certi casi trilingue, si operava l'assunzione di opere letterarie e mitologiche verso la periferia2, etc.

Tutto ciò andò di pari passo con il processo di urbanizzazione, intendendo con questo tutto quanto comportò la costituzione dell'unità socio-politico-economica chiamata città. In riferimento a quanto accennato poc'anzi, indiscutibilmente il processo di esportazione e contaminazione culturale verso la periferia si accompagnò a dinamiche di tipo commerciale e politico. Sui connotati della città sumera non tutti sono d'accordo, e alla base delle diverse interpretazioni ed analisi vi sono sostanzialmente due teorie: la città di tipo palaziale o templare3. Invece sul fatto che, per lo meno nei primi secoli (periodo Proto dinastico), si debba parlare sostanzialmente di forma città stato non paiono esserci dubbi.4

La differenza di base tra le due teorie verte su come interpretare l'organizzazione e la reggenza del potere: in parole povere, se a comandare fosse un re o un sacerdote. Non è ovviamente una cosa di poco conto, perché questo implica l'organizzazione della struttura sociale, l'incidenza della religione nella quotidianità, la gestione dei beni di consumo, solo per menzionare alcuni aspetti. Non è nemmeno da escludere che la differenziazione tra l'ambito regale e religioso, sempre a livello di gestione del potere e di impostazione generale sociale, non fosse così netta. Tralasciando in questa sede l'analisi dettagliata della questione5, rimane comunque, a mio parere, che non si può far passare in secondo piano il fatto che gli stessi Sumeri, come già detto, riconoscevano nell'istituzione della regalità un elemento fondante e caratterizzante della loro civiltà, tanto da accreditarne un'origine divina: infatti, nelle famose liste reali sumeriche si attribuisce al volere degli dei tale istituzione proprio per elevare la condizione delle Teste nere (così chiamavano spesso sè stessi i Sumeri nei testi cuneiformi), che in fasi differenti venne spostata, sempre per decisione divina, da una città all'altra. Si legge in merito che "la regalità discese dal Cielo"6. Quello che intendo dire è che, al di là di quale interpretazione esteriore venne data allo specifico e indubbiamente fondamentale ruolo della classe sacerdotale, non vi è dubbio che il nuovo tipo di organizzazione urbana è da identificarsi con un processo di accentramento del potere che: 1) trova legittimazione nella religione; 2) riconosce alla sfera politica organizzata intorno ad un reggente la funzione base di tenuta ed impulso sociale generale. La vera questione, a mio avviso, sta nella fase di passaggio tra preistoria e storia: se cioè già fin dall'inizio l'accentramento del potere avesse un carattere prettamente religioso o regale.

Per comprendere di cosa stiamo parlando bisogna per forza di cose tratteggiare un quadro della Mesopotamia antica della seconda metà del IV millennio, e successivamente indicare quali processi si innescarono fino a trasformare l'impostazione sociale dei gruppi sociali sumeri prima, e quelli semiti poi.

 

La Mesopotamia del IV millennio a.C.

 

I territori compresi tra l'Anatolia e l'Armenia da una parte, la Siria, Palestina e Libano a sud, la Mesopotamia a est fino a giungere alle pendici iraniche occidentali del Fars e dell'Elam, costituiscono il Vicino Oriente Antico; alcuni vi includono anche l'Egitto – e non è un'idea campata in aria, come vedremo – ma è pur vero che questa è un'area geografica, ancor prima che culturale, che presenta dei tratti suoi propri.

In effetti, una certa omogeneità climatica data dal suo estendersi in senso latitudinale è da considerare come elemento fondamentale nello sviluppo, fin da almeno il X millennio a. C., dell'agricoltura, da intendersi come prodotto di scambi di conoscenze tra diverse comunità umane, ovviamente a più fasi. A noi, per il momento, basti accennare al fatto che il periodo da considerare più interessante in relazione all'analisi del passaggio dalla Preistoria alla Storia è quello che va dal VII alla fine del IV millennio; è un orizzonte temporale che ovviamente facciamo molta fatica a definire con una certa precisione, ma è indubitabile che già da quella data, e per circa i tre millenni successivi, le genti del Vicino Oriente Antico cominciano a sviluppare dinamiche, strutture e tecniche sempre più avanzate ed organizzate. Le pratiche agricole sono alla base dell’organizzazione sociale della maggior parte dei gruppi umani stanziati in Mesopotamia e sulla costa del Mediterraneo, e secolo dopo secolo ne favoriscono l'accrescimento numerico e il movimento verso nuove località con la costruzione di nuovi villaggi. Il tipo di società che pare contraddistinguere tutti questi gruppi è di tipo paritario, nel senso che non sembrano caratterizzati da strutture gerarchiche sociali piramidali, e le derrate alimentari paiono venir prodotte e conservate a livello comunitario; questo vale sicuramente fino a metà del VI millennio. Già sul finire di questo, nella Mesopotamia meridionale assistiamo ad un intensificarsi degli scambi commerciali e all'ingrandimento delle strutture murarie, che cominciano a non essere più le semplici costruzioni familiari o il magazzino centrale del villaggio, ma strutture che raggiungono anche i 180 m2 verso il 5300 (Cultura di Obeid 3), fino ad arrivare ai 230/250 m2 verso il 3700 (Obeid 5/Tardo Uruk)7; tra le motivazioni di questo mutamento vanno annoverate sicuramente l'aumento demografico e la conseguente esigenza di organizzazione sociale più articolata in base anche a dinamiche commerciali più complesse. Infatti, riscontriamo che le direttrici d'influenza di questa cultura arrivano sicuramente non solo nell'alta Mesopotamia, ma anche sino alle coste siriane e libanesi da una parte, e a quelle delle coste del Golfo dall'altra, ma anche nell'Anatolia orientale. Aggiungendo che contemporaneamente non manca lo sviluppo dell'attività pastorizia e la sua diversificazione (suini, bovini, ovini), sia stanziale che nomade, possiamo sottolineare con forza che il periodo di cui stiamo parlando è contraddistinto in modo progressivo nel tempo da una grande dinamicità a tutti i livelli, compreso quello delle relazioni (con conseguenti scambi culturali) tra i vari gruppi umani, la quale si delinea come aspetto fondamentale per la futura rivoluzione urbana.

Presumibilmente intorno alla metà del IV millennio s'insinuano nella regione gruppi stranieri di cultura e lingua differenti, i quali definiscono sé stessi ùĝ saĝ gíg ga (letteralmente: "La gente dalla testa nera") e, nel volgere di qualche secolo, cominciano a sviluppare ulteriori nuovi sistemi di produzione e socializzazione che li portano in un relativo breve arco di tempo a ergersi nel panorama mesopotamico come cultura superiore. Sono questi coloro i quali conosciamo come Sumeri, nome che in realtà noi desumiamo dai testi accadici dove popolazioni semitiche (Accadi, Babilonesi, etc.) così fanno riferimento a loro, e dove Sumer viene chiamata la loro terra8, che corrisponde alla bassa Mesopotamia. Da dove provenissero questi gruppi originari è un mistero, anche perché non è chiaro da quanto essi stessi hanno lasciato successivamente scritto, e tanto meno è facile desumerlo dall'analisi linguistica visto che la lingua sumerica non pare offrire legami con nessuna altra lingua conosciuta9.

In ogni caso, quello che pare chiaro è che già a metà del IV millennio avviene un incremento dello sviluppo sociale, economico e politico delle genti della bassa Mesopotamia – mentre non è certo che contemporaneamente tale fase di sviluppo includa territori e popolazioni limitrofe, o per lo meno in quale misura ciò avvenga; e che tale fase sostanzialmente identificabile e riconducibile per comodità di sintesi all'urbanizzazione, avrà un ulteriore e decisivo step nella creazione della scrittura a cavallo tra i due millenni.

Tra gli elementi che paiono da considerarsi decisivi per la nuova fase di sviluppo vi sono da menzionare le nuove tecniche di irrigazione e di semina inventate nella bassa Mesopotamia che, come vedremo tra poco, permisero di implementare la produzione rispetto agli altri territori e, di conseguenza, implementare l'accumulo. Questo concetto deve essere fin da subito ben chiaro: l'elemento decisivo per lo sviluppo sociale prima, e culturale poi, è quello dell'accumulo dei beni di prima necessità, alimentari innanzitutto ma poi anche di strumenti, capi di vestiario, materiali da costruzione, etc. È l'accumulo che permette di cominciare ad organizzare le forze lavoro operando scambi tra le stesse ed i beni da loro prodotti, e la conseguenza di ciò è la possibilità di organizzare in modo più complesso la struttura sociale e politica. In parole povere e andando per semplificazione: se all'interno di un clan o di un villaggio il tempo a disposizione veniva sostanzialmente occupato interamente dal lavorare la terra per produrre cereali e allevare pecore per averne carne e lana, e tutto ciò non aveva altro destino se non il clan o il villaggio stessi, con la nuova fase dell'accumulo si comincia a mettere da parte un surplus che può dare la possibilità di uno scambio con altri beni necessari prodotti da altri gruppi sociali, ad esempio attrezzi da lavoro o capi di vestiario. Un'altra conseguenza dell'accumulo è quella dell'incremento dell'aggregazione sociale, cioè della crescita del villaggio fino ad arrivare alla città: la nuova fase dell'urbanizzazione si poggia indubitabilmente su questo elemento. È in questo processo che si distinguono parti sociali che riescono a ritagliarsi compiti nuovi ed un'organizzazione del tempo nuova, cioè del tempo che si estrapoli da quello del mero lavoro fisico agricolo, pastorale e costruttivo, per essere destinato sostanzialmente alla gestione del potere politico e religioso, anche se magari in una prima fase potremmo anche intenderlo semplicemente organizzativo.

 

Torniamo alle nuove tecniche agricole. Cominciamo da quelle di irrigazione.

Un aspetto fondante della civiltà mesopotamica è la sapiente gestione delle risorse idriche della regione, cioè i famosi Tigri ed Eufrate. Un aspetto in un certo qual modo ai limiti dell'incredibile, ma che in realtà ci mostra il grado altissimo di capacità evolutiva di quelle antiche genti, è che la terra di Sumer è sostanzialmente pura argilla, canne ed acquitrini, con praticamente assenza di altre materie prime quali, ad esempio, pietra o legno; il genio dei popoli di Sumer fu quello di convertire in tesoro l'argilla, e di far rendere al massimo quell'altro tesoro naturale che è l'acqua: con l'argilla costruirono edifici e inventarono supporti per la comunicazione e lo sviluppo della cultura, cioè le tavolette per scrivere, e con l'acqua irrigarono la stessa argilla di per sé poco produttiva per coltivare; questa seconda attività furono capaci di svilupparla fino ad un altissimo livello di ingegneristica idraulica che fu in grado di progettare e costruire un'enorme e lunghissima rete di canali e chiuse capaci di portare l'acqua dei due fiumi anche ben dentro ai territori mesopotamici, e di poter così estendere l'area di coltivazione e di abitabilità. Le grandi città che si svilupparono in Sumer furono sostanzialmente centri fluviali.

Tutto ciò vede in una prima fase (diciamo fino almeno alla metà del V millennio) sviluppare ovviamente la semplice irrigazione da campo familiare o, eventualmente, quello più esteso da clan: si tratta di appezzamenti di modeste dimensioni, di tipo quadrato, con piccoli argini e irrigazione a bacino, vale a dire a riempimento completo per sommersione tramite un leggero strato di acqua che verrà in breve tempo assorbito integralmente in senso verticale.

Un primo vero salto tecnico fu il concepire un sistema di irrigazione basato su una lieve pendenza dei terreni a partire dal canale principale, in modo da ottenere, a parità di tempo, una minor manodopera effettiva ed una maggior estensione raggiungibile di terra coltivata; in altre parole, invece di semplicemente portare l'acqua tramite canali in piano per il riempimento a bacino, i canali in pendenza provvedevano in modo automatico a portare in maniera più capillare e continua direttamente l'acqua alle coltivazioni, senza che l'uomo dovesse preoccuparsi di distribuirla lui stesso10. La distribuzione è più capillare perché tendenzialmente l’acqua è convogliata solo, o principalmente, nei solchi seminati di quello che non è più un modesto campo quadrato, ma un campo lungo molto più esteso; la nuova organizzazione non è concepibile in una dimensione semplicemente familiare, ma necessita per forza di una organizzazione generale più complessa, perché la gestione della terra vede ora una moltitudine di campi lunghi disposti a spina di pesce rispetto al canale principale.

E qui entra in gioco l’altro elemento che dà un ulteriore contributo in tale direzione, cioè l'invenzione dell'aratro seminatore a trazione animale: sostanzialmente con un unico attrezzo ed un'unica azione si uniscono due fasi in una, quella dell'aratura e quella della semina (grazie all’installazione di un imbuto con cannello che permette la messa a dimora precisa e profonda di ogni singolo seme nel solco), con un evidente notevole risparmio di tempo e fatica (oltre che di perdita percentuale di sementi), aspetto questo ulteriormente potenziato dall’utilizzo di animali da traino che, evidentemente, permettono un enorme risparmio di tempo rispetto alla zappatura e la semina a dimora a mano. Si tenga presente anche che, tale sistema, è da inquadrare in una sorta di unità produttiva assieme all’innovazione del campo lungo: la dimensione di quest’ultimo difficilmente sarebbe stata possibile col lavoro meramente umano, ed inoltre l’aratro a trazione animale consente anche l’aratura a solchi lunghi e paralleli, che ben si confanno alla dimensione del campo lungo ed alla sua caratteristica del convogliamento delle acque direttamente nei solchi stessi. L’impiego degli animali, inoltre, quasi sicuramente permise anche un’ulteriore miglioria in termini produttivi di risparmio tempo ed impiego di forza lavoro: la trebbiatura tramite slitte trebbiatrici con lame che, è ragionevole ritenere, fossero di tipo “usa e getta”, cioè prodotte in argilla; in effetti, questa invenzione concedeva un risparmio economico e temporale rispetto a falcetti di selce o addirittura di metallo, molto più complessi da fabbricare e dunque più costosi. Viceversa, il falcetto di terracotta permetteva una produzione in serie a basso costo.

Insomma, ci troviamo di fronte a una serie di innovazioni che insieme contribuirono a formare un unico quadro di sviluppo tecnologico, produttivo e sociale, nel quale si ottiene la possibilità di produrre più di quanto si produceva prima, cioè si compie un primo passo verso il surplus, e che permise un salto in avanti di notevoli proporzioni e sfociò infine nella Rivoluzione urbana.

Lo ripetiamo: il punto è proprio la possibilità del risparmio di tempo, che può essere utilizzato per una maggiore produzione dello stesso bene, cioè i prodotti agricoli, od essere impiegato alla produzione di altro per cui prima non c'era, per l'appunto, tempo. È qui che s'innesca la possibilità della rivoluzione urbana: se non vi è più la necessità che tutta la forza lavoro debba concentrarsi nella produzione di cibo per la comunità, si crea la possibilità di dirottarla prima alla produzione di attrezzi, oggetti, capi di vestiario che migliorino la vita dei singoli e, conseguentemente, della comunità, e poi di centri di vita sociale più complessi del semplice villaggio che, presumibilmente, adempiano alle necessità di poter espletare meglio le funzioni altre di cui sopra (cioè quelle non direttamente legate alla produzione di cibo), di meglio organizzarle (dinamiche commerciali), ed infine di proteggere il surplus "fortificando" i magazzini, che siano questi di granaglie, di vasellame o di tessuti. Questa struttura, che va ingrandendosi, aggrega genti, sviluppa complessità e si dota di cinte murarie, è la città.

La città si propone per la prima volta con dei connotati che ben fan comprendere quale salto l'uomo abbia ora compiuto: sostanzialmente egli non è più solo essere vivente a stretto contatto con la natura ed in essa completamente immerso, ma comincia a distaccarsene costruendo un ambiente artificiale in cui parte della sua comunità può permettersi di non relazionarsi direttamente con l'ambiente naturale (benigno ma anche duro ed ostile) ma solo coi suoi simili, costruendo dinamiche commerciali, di potere, di produzione di beni che non necessitano direttamente del campo o del pascolo, e potendosi dedicare ad attività prima secondarie o ai margini o addirittura inesistenti, come l'arte, la costruzione di strutture ed attività religiose complesse, la letteratura, insomma: attività intellettuali. Ma a fianco di tutto ciò vi è un'altra attività che può essere ora meglio organizzata e sviluppata, e che appare ovviamente strettamente connessa con il bisogno di proteggere il surplus: è quella militare.

Delineiamo subito alcuni tratti salienti della struttura urbana così da entrare direttamente nel merito: centralizzazione, organizzazione, militarizzazione.

Abbiamo già accennato in precedenza alla questione aperta della città palaziale o templare. Quale che fosse la realtà delle cose, assistiamo di sicuro ad un processo di centralizzazione con una componente sociale che riesce ad emergere all'interno della comunità, non tanto all'inizio, probabilmente, in termini di maggior importanza rispetto al resto (intendendolo in termini di lignaggio, ascendenza divina, maggiori diritti, etc.), quanto per la capacità di saper coordinare nuove dinamiche organizzative da cui trarre un beneficio materiale. In altri termini e per rendere in maniera semplice la cosa, qualcuno non va più a zappare il campo ma organizza chi lo va a fare; non va più a pascolare le pecore ma sa indirizzare i pastori nella produzione di beni derivati (lana, tessuti, formaggi, etc.) e commerciarla. È chiaro che in un certo relativamente breve lasso di tempo questa componente sociale si tramuta per forza di cose in una élite, non necessariamente perché acquisisca particolari diritti superiori ma come naturale conseguenza dello stato delle cose: non appartiene più alla massa della forza lavoro bruta ma con essa interagisce come classe di commercianti e ne trae sostentamento e ricchezza. Bisogna avere chiaro che, per lo meno in una certa fase iniziale (intesa nell'ordine di alcuni secoli), non necessariamente s'instaura una dinamica di sfruttamento tra queste diverse componenti sociali, ma è molto probabile anzi che vi fosse semplicemente una relazione di scambio tra diverse competenze, e che per il contadino o il pastore potesse risultare vantaggioso produrre una parte per sé e la propria famiglia, ed una parte da scambiare con altri beni necessari che lui non era in grado di auto prodursi (vasellame, vestiti, zappe, oreficeria, prodotti alimentari, etc.). Questo fu possibile proprio per la capacità tecnica di produrre un surplus che a questo punto diventa commerciabile, e trova il suo luogo di applicazione nel centro urbano in cui vengono convogliate le varie merci, la cui gestione commerciale viene effettuata da quella élite di cui sopra. Sostanzialmente, in questa fase non è importante stabilire con esattezza se la città fosse di tipo palaziale o templare, ma che fosse il centro di afflusso commerciale dalla periferia, quantunque questa dinamica di per sé potrebbe delineare maggiormente la prima tipologia, considerato anche il fatto già menzionato che non sembra contraddistinta necessariamente dall'affermarsi di sfruttatori su sfruttati. Insomma, per farla breve la rivoluzione urbana appare come una trasformazione sociale in cui nascono nuove forme di figure sociali e nuove dinamiche più complesse, favorite da un miglioramento tecnologico, e contraddistinta da agglomerati architettonici sempre più grandi sia nell'estensione che nei singoli complessi murari. Riguardo a quest’ultimo punto, è bene aggiungere che l’attività di costruzione di opere mastodontiche non interessò solamente gli edifici urbani11 ma anche le attività idrauliche già accennate in precedenza, cioè la costruzione di canali, dighe, chiuse, e che per poter effettuare tutto ciò era necessario il coinvolgimento di grandi masse di forza lavoro, fortemente organizzato e sostanzialmente centralizzato: è probabile che fu possibile innescare tale meccanismo proprio per un iniziale proficuo vantaggio di tutte le parti in causa, mentre successivamente, nel corso dei secoli, entrarono sicuramente in gioco motivazioni ideologiche di tipo religioso (si pensi al ricorrente tema presente nella letteratura mitologica sumero–accadica dell’uomo creato per servire gli dei e sollevarli dalla fatica fisica).

Per ulteriormente meglio delineare il generale processo di centralizzazione di cui stiamo parlando, volgiamo ora lo sguardo su due ambiti ben precisi: l’allevamento e il commercio carovaniero. Entrambi, pur all’apparenza diversi, ci offrono però una medesima dinamica di rapporto tra centro e periferia, se così vogliamo esprimerci, la quale è molto ben documentata da una quantità enorme di tavolette di tipo economico. Il centro affida una quantità tot (animali o merci) al pastore o al commerciante, oltre alla possibilità organizzativa e realizzativa che è nelle sue prerogative, pretendendo alla fine di un periodo stabilito (la stagione, l’anno o il viaggio di andata e ritorno) il ritorno di quanto dato inizialmente più una quantità ulteriore che è il guadagno. Tale guadagno è calcolato su una stima attendibile: da un certo numero di capi di bestiame nasceranno tot nuovi piccoli, verranno prodotti tot litri di latte e derivati caseari, si otterranno tot kg. di lana; e dalle merci affidate a mercanti in procinto di viaggiare verso l’Elam o la Valle dell’Indo viene calcolato, in base alle valutazioni di cambio medie, che ci si aspetta al ritorno una certa quantità di merci dai paesi stranieri (lapislazzuli, argento, legname, etc.). Queste stime non vogliono tenere conto della situazione reale, e generalmente tendono a farlo al ribasso, cioè: non essendo da una parte realistico ottemperare ad un severo controllo di quanto effettivamente il pastore o il mercante saranno in grado di produrre, e dall’altra essendo anche necessario e vantaggioso che entrambe le parti possano trovare vantaggioso il rapporto economico, e nello specifico il contraente del centro organizzativo essere stimolato ad impegnarsi in tale rapporto, ecco che il centro “si accontenta” di un valore stimato che possa costituire guadagno, concedendo al pastore o al commerciante di poter trarre anch’egli la sua dose di guadagno in base alla propria abilità. Nel caso del commerciante, per meglio specificare, nessuno avrebbe mai potuto verificare a quali valori di cambio avrebbe trattato le sue merci nei paesi stranieri, se uguali o superiori a quanto stabilito dall’autorità centrale; e nel caso del pastore, non solo è valida suppergiù la medesima valutazione, ma bisogna precisare una differenza rispetto al commerciante: il rapporto economico/produttivo esistente con l’autorità centrale gli consente di avere assicurato il sostentamento ed il fabbisogno legato alla materia prima che egli tratta (l’animale), cosa che vale anche per il contadino. Questo aspetto non è di poco conto, perché mantiene un equilibrio sociale che, in epoche successive, non sarà scontato: in particolare nel passaggio dal Medio Bronzo al Tardo Bronzo12 assisteremo in modo sempre più accentuato all’affermarsi della concentrazione della proprietà terriera e delle ricchezze nelle mani di una classe elitaria e minoritaria numericamente, a cui farà da contraltare un sempre maggior impoverimento ed asservimento delle masse contadine.

 

Da quanto fin’ora detto emerge dunque che la vera fase in cui cominciamo ad intravedere i germi di una più marcata differenziazione sociale in senso gerarchico è da collocare con l'inizio del IV millennio. Complessivamente assistiamo ad un avanzamento generale che riguarda i vari aspetti cruciali tendenti all'urbanizzazione, a partire da una sempre maggior bonifica dei territori paludosi meridionali tramite costruzioni di canali di drenaggio e di irrigazione, con la conseguente trasformazione agricola di sempre più territori sottratti agli acquitrini che finiscono per rivelarsi estremamente fertili. Tutto ciò favorì ovviamente il concentramento demografico e quindi l'estendersi delle superfici urbane, con conseguente definitivo passaggio a strutture architettoniche imponenti. È questo il periodo denominato “epoca di Uruk” perché è questo il nome del centro che per primo si sviluppò definitivamente presentando tutte le caratteristiche della città, e che contraddistinse tutti i processi di trasformazione nell'area meridionale. Pur non avendo una esauriente documentazione in merito, appare indubitabile che nel corso delle fasi Uruk antico (3800-3400) e tardo Uruk (3400-3000)13 si dipani un processo continuativo di sviluppo, da inserire d’altronde, come già profilato sopra, in un processo ancor più vasto temporalmente.

All’apparenza verrebbe da dire che non c’è una ragione precisa perché ciò avvenne nella Mesopotamia meridionale e non, ad esempio, sulle pendici montagnose iraniche, dato che l’alluvio mesopotamico ha dei pregi ma non più di altre zone, mentre sotto molti aspetti parrebbe avere dei difetti maggiori rispetto ad altre nicchie ecologiche. Eppure è lì che avvenne la cosiddetta Rivoluzione urbana, e in realtà certamente un ruolo fondamentale lo ebbe l’innovazione del campo lungo che abbiamo esaminato in precedenza. È anche probabile, secondo certi studi, che fu favorevole un cambio climatico che rese la zona più abitabile ed idonea alla produzione agricola più intensa ed organizzata: in effetti il livello del mare del Golfo persico si abbassò di circa tre metri, e contemporaneamente diminuirono le precipitazioni e con esse la portata del Tigri e dell'Eufrate, il che non solo permise una maggiore esposizione di terraferma, ma rese il territorio meno acquitrinoso e paludoso, mentre anche il clima divenne un poco più fresco secco.

Uruk appare come un aggregato umano imponente per l’epoca, basti rilevare che risulta essere il doppio dell’Atene del 500 a.C., ben più grande della Gerusalemme del 50 d.C. e la metà della Roma imperiale del 100 d.C. Stiamo parlando di una città di 70 ettari con una stima di 30.000 persone, più di 3.000 anni prima della Roma di Adriano. Nel periodo successivo Proto–dinastico (prima parte del III millennio) raggiungerà l’apice di 400 ettari di superficie occupata, con una cinta muraria di 9 km.

Ma la cifra di quel che fu la Uruk della Rivoluzione urbana la dà, a mio parere, lo sviluppo culturale, produttivo e commerciale che crebbe intorno ad essa. La cosa che potrebbe apparire incredibile è che, nonostante l’apice architettonico verrà raggiunto in epoca Proto–dinastica, e dunque propriamente storica, la vera fase di espansione culturale ed economica è da inquadrare nella seconda metà del IV millennio, vale a dire in periodo transitorio da scrittura pittografica a scrittura sillabica compiuta14: la Uruk dell’inizio del III millennio ha già visto una fase di massimo sviluppo di influenza commerciale ed anche di declino. La Rivoluzione urbana rappresentò un evidente salto in avanti di proporzioni mai viste dato che Uruk riuscì a sviluppare un sistema di colonie commerciali ben strutturato verso tutte e quattro le direzioni spaziali: centri dipendenti commercialmente, con organizzazioni sociali ed architetture erette sul modello della casa madre, sono stati individuati ben dentro agli altopiani iranici, nei territori del nord della Siria, in Anatolia orientale, nelle coste meridionali del Golfo persico. Se già di per sé colpisce la dimensione enorme della rete commerciale che faceva capo ad Uruk, tenendo presente che ciò significava fisicamente costruzioni di nuovi centri urbani, di avamposti commerciali per lo scambio/trattazione delle merci, di porti, magazzini, etc., bisogna comprendere che tutto ciò implicò una dimensione, un “contagio” culturale altrettanto grandioso, in ogni ambito: per la realizzazione concreta di quanto appena enunciato non era possibile esimersi dall’affermare un modello sociale, per non parlare dell’ovvio modello commerciale con un’evidente influenza del modello produttivo nei confronti delle singole regioni e popolazioni limitrofe e lontane, un’esportazione di conoscenze architettoniche, per non parlare dell’importantissima innovazione della scrittura che in poco tempo (seppur in fasi diverse) si affermerà in tutto il Vicino Oriente Antico, permettendo l’ulteriore costruzione di una realtà da considerarsi sostanzialmente come una unità storica e territoriale in cui si muovono e muoveranno vari attori etnici. Su questa ultima affermazione è doverosa una precisazione: è proprio su questo elemento che si può ulteriormente apprezzare la grandezza della Rivoluzione urbana e di quello che comporterà nei secoli successivi, perché appare a tutti gli effetti una scintilla che metterà in moto un mutamento radicale che interesserà tutte le popolazioni di questa parte di mondo le quali, al di là dei propri connotati etnici, si riconosceranno e concorreranno alla costruzione di un unico grande contesto culturale che farà da sfondo a tutti quanti per millenni. Quando, solamente un millennio dopo l’epoca di cui ci stiamo interessando, gli Accadi di Sargon il Grande si affermeranno come potenza egemone e per la prima volta imperiale in Mesopotamia15 a scapito dei Sumeri, non ci troviamo di fronte ad una frattura totale e ad un’interferenza indebita nello scenario regionale, perché in realtà Semiti e Sumeri stanno convivendo già da secoli negli stessi spazi, contribuendo ognuno per quanto gli è concesso dalle condizioni generali sul piano culturale, religioso, commerciale, sociale. Non vi sono, prima di Sargon, evidenze di conflitti etnici nella regione. La costruzione della grande cultura mesopotamica è spesso per comodità attribuita ora ai Sumeri ora ai Semiti a seconda della supremazia politica del momento, ma la realtà è che essa è più sfumata di quanto non possa dirci una certa semplificazione, al di là della chiara presenza e del determinante apporto del popolo sumero per circa 1.500 anni. Prova ne è che questa grande cultura resisterà sostanzialmente ancora, per lo meno, fino all’avvento di Alessandro Magno 3.000 anni dopo.

A completamento del discorso in merito allo sviluppo della Uruk del IV millennio, abbiamo accennato che già all’inizio del III millennio (cioè il Proto–dinastico) si era esaurita una contrazione della dinamica generale innescata dalla Rivoluzione urbana. Ciò non è da intendersi nel senso di una diminuzione in termini di sviluppo del centro urbano in sé – che, d’altronde, abbiamo già detto che continuerà ad ingrandirsi – ma è da riferire all’impero16 commerciale le cui dimensioni in termini di relazioni, scambi, contatti, strutture, accordi, impegno logistico ed organizzativo, risulteranno ad un certo punto troppo grandi per essere sostenute. Di fatto, volgendo lo sguardo ai secoli e millenni successivi, non è azzardato affermare che una tale dimensione di organizzazione commerciale sarà difficilmente eguagliata, forse vi riusciranno l’Impero assiro e successivamente quello persiano. Ma stiamo parlando di 2.000 anni dopo.

Tale grandiosità fu probabilmente possibile grazie al fatto che non si erano ancora sviluppati pienamente connotati, ideologie e strutture politiche in senso fortemente identitario ed etnico, tali da creare separazioni e barriere statali, etniche, religiose. Probabilmente c’era una capacità di convivenza e condivisione molto maggiore di quanto non avverrà in seguito nella storia dell’uomo. Sarà la crescita delle dinamiche di potere che porteranno via via ad una maggiore complessità sociale ed allo sviluppo di separazioni identitarie ed aggressività sempre più forti. Questo non significa che non vi fossero tensioni, anzi: per certi aspetti la Rivoluzione urbana porta già in seno tutto ciò, basti rilevare l’esigenza di costruire cinte murarie intorno alle città, segno di un’esigenza ma anche di una volontà di difesa delle merci accumulate. A tal proposito possiamo riprendere un tema solo menzionato inizialmente, quello della militarizzazione. Certamente non è da intendersi nei termini che verranno sviluppati nel corso del millennio successivo, con l’affermarsi di unità politiche sempre più indipendenti e strutturate, ma certamente comincia ad accompagnare lo sviluppo della società urbana, innanzitutto nell’impostazione nuova che assume la questione dell’uso della forza e della pratica della guerra: l’esercito è strettamente connesso con il processo e l’impostazione della produzione e dell’economia, in quanto pare venir costituito, all’esigenza, tramite corvee, come un dovuto alla causa generale incarnata dall’unità centrale in cambio del quale verranno regalate terre da coltivare. In un certo senso possiamo dunque considerarlo come uno dei tasselli dell’ingranaggio produttivo e della centralizzazione, al pari delle attività di costruzione di opere pubbliche imponenti, mentre l’esercito di professione vero e proprio si affermerà pienamente solo nel millennio successivo.

 

 

 

 

 

 

Tavoletta dei mestieri ritrovata a
Uruk (3100 a.C.). Si tratta di uno dei documenti
scritti più antichi ritrovati.
 
 
 
 

 

 

 

Note al testo

 

Per una bibliografia sull'argomento:

  1. Mario Liverani, Uruk la prima città, Laterza 1998
  2. Mario Liverani, Antico Oriente: storia, economia, società, Laterza 2011
  3. Giovanni Pettinato, I Sumeri, Bompiani 2005

Inoltre rimandiamo alla pagina Biblioteca presente in questo sito dove vengono indicati diversi notevoli volumi sulla mitologia e letteratura mesopotamiche.

 

 

[1]  Ad esempio, tutta la "letteratura economica e commerciale" è spesso per noi fonte di informazioni indirette che ci permettono di comprendere e speculare in merito a differenti aspetti della società, della politica e della religione.

[2] Utilizzo quest'espressione intendendo Sumer come centro d'irraggiamento culturale rispetto a tutti gli altri territori più o meno limitrofi; in effetti, come vedremo, l'influenza culturale sumerica toccò popolazioni anche piuttosto distanti nello spazio e non direttamente confinanti con Sumer.

[3] Va detto che la maggior parte degli studiosi propende per la teoria della città–tempio.

[4] Bisogna tuttavia precisare che tale espressione non è da intendere nei termini della Polis greca, avendo le città mesopotamiche una loro peculiarità in termini politici, economici e territoriali.

[5] La questione è molto complessa ed è affrontata da diverse prospettive, come quella archeologica e filologica: la contestazione di base che viene fatta ai sostenitori della città–tempio è che vengono considerati complessi templari strutture che non presentano nessun tratto certo di attività cultuale; a ciò vanno ad aggiungersi analisi di testi di varia natura (testi economici, iscrizioni regie, etc.) che meriterebbero ben altra sede per venir presentati.

[6] “Quando la Regalità scese dal Cielo/ la Regalità fu ad Eridu. /Ad Eridu Alulim divenne Re/ e regnò 28.800 anni.”. Queste sono le prime 4 linee del testo denominato dagli studiosi Lista reale sumerica, risalente al periodo delle dinastie di Isin e Larsa (2.100-1.900), e sicuramente basato su una versione più antica elaborata sotto il sovrano Utukhengal di Uruk (2.200)

 

 

Vaso cultuale di Uruk.

Costituisce uno dei più alti esempi di arte sumera dell'epoca protostorica: si fa risalire infatti al periodo compreso tra il 3.300 e il 3.100 a.C., ed è stato ritrovato nel complesso templare dedicato alla dea Inanna (Eanna) dell'antica Uruk, oggi Warka. Misura 92 cm in altezza x 36 cm di larghezza.

La Dama di Warka.

Si tratta anche in questo caso di un manufatto rinvenuto nella Uruk protostorica (oggi Warka), risalente cioè ad un periodo compreso tra il 3.400 ed il 3.000. E' considerato uno dei massimi esempi nella storia dell'arte dell'intera umanità.

[8] Invece il termine utilizzato dai Sumeri stessi era Ki-en-gi, generalmente inteso come "Il Paese" (o letteralmente, secondo alcuni, "Terra dei Signori civilizzati").

[9] Vari sono stati i tentativi di trovare affinità con altre lingue antiche, specialmente col gruppo uro-altaico, ma nessuno ha mai dato risultati veramente apprezzabili.

Sistema di irrigazione a campo lungo.

Conchiglia intarsiata con il nome di Akurgal, figlio di Ur-Nanshe, re di Lagash. Periopdo Proto-Dinastico III (ca. 2500 a.C.) da Tello, (antica Girsu). Parigi, Louvre

L'iscrizione sul retro di questo manufatto di 52,5 cm. così recita: "Statua di Ebih-Il, il sovrintendente, dedicata a Ishtar".

Ritrovata a Mari, e risalente al 2400 a.C. circa, è costituita da gesso, scisto, conchiglie, lapislazzuli (quest'ultimo come intarsio agli occhi e alle sopracciglia).

Interessante raffigurazione che pare mescolare tratti umani a tratti serpentini, di una donna nell'atto di allattare, risalente presumibilmente al V millennio a.C. (Obeid). Altezza cm. 14, luogo di ritrovamento Ur.

[10] Va detto che tale innovazione pare essere stata possibile nell’alluvio mesopotamico, in particolare nella zona del Delta, grazie alla morfologia di questo territorio, in cui i canali principali del Tigri e dell’Eufrate, portando nel corso dei secoli sedimenti e limo, finirono per costruire in maniera naturale un dislivello del terreno con pendenza bassa verso l’esterno. A ciò si aggiunga che tali sedimenti risultarono estremamente fertili.

[11] Non bisogna pensare che tale trasformazione includesse in maniera significata la semplice casa familiare, che sostanzialmente mantiene e continuerà a mantenere per millenni dimensioni “normali”.

[12] L’Età del bronzo è così suddivisa: Bronzo Antico: 3000–2000; Medio Bronzo; 2000–1500; Tardo Bronzo: 1500–1000.

[13] Le suddivisioni cronologiche non sono sempre uniformi nelle valutazioni dei diversi studiosi, e di conseguenza si possono talvolta rilevare alcune differenze sia terminologiche che di scansione temporale.

[14] Va da sé che la scrittura raggiungerà ulteriori livelli di sviluppo e complessità per tutto il Proto–dinastico.

[15] E  nel mondo: l’impero accadico di Sargon è considerato generalmente come il primo impero della storia dell’uomo.