Cronache meneghine del '900 - La Chiama

04.06.2014 02:26

 

Questo testo si compone di due parti: la prima è una fedele cronaca milanese, mentre la seconda è liberamente adattata da DIARIO .1946 -di Aramis Cordara.

Di Alessio Zuliani

 

"..nelle gare della "Chiama" lungo i Navigli, gli Uccellatori si disponevano sugli argini ; ciascuno portava uno specchio sul petto e lanciava richiami. Risultava vincitore chi attirava il maggior numero di volatili, manovrando
sui raggi del sole la superficie speculare e imitando con la voce i suoni segreti che , per gli uccelli, sono irresistibili sirene.

La "Chiama" in realtà era un trucco. Mascherava un festoso pretesto per consentire ai rappresentanti della malavita
tradizionale di trovarsi riuniti una volta l'anno :

gli "Evangeli", i vecchi, gli "Egizi" , coloro che operavano fuori patria,

gli "Amen", che non esitavano ad uccidere,

i "Gridalimoni", che sapevano vita,morte e miracoli dei potenti e potevano rovinarli con uno scandalo,

i "Lampioni", i cervelli delle strategie e dei colpi grossi, gli "Ammainabandiere", i corruttori di funzionari pubblici e persino i minori,

i "Roca", i lenoni, i "Balaustristi" e gli "Spera Poco",

ossiai ladruncoli acrobati per davanzali e terrazze."

 

 


Il giorno della "Chiama"

Il 21 aprile 1946 ,giorno di Pasqua, i detenuti di San Vittore inscenarono, nel teatrino della Rotonda,una rappresentazione "comico-allegorica". Così l annunciò il suo autore e regista, che aveva allestito, nei mesi precedenti, una filodrammatica composta da assassini e malviventi.Una ciurma che obbediva, stranamente docile, alle regole dello spettacolo.

Autore e regista fu Ezio Barbieri.


Entrarono in scena animali di ogni specie: rinoceronti, scimpanzè, giaguari, uccelli del Paradiso, altri uccelli rapaci o parlatori, interpretati da reclusi, maschi e femmine, che si erano infilati maschere e costumi confezionati con stracci e cartapesta. Trascinavano agnelli con il collo imbrattato di sangue vivo, come votati al sacrificio.

Gli agenti di custodia seguirono, con blanda curiosità, la farsa che si sarebbe trasformata in tragedia.

Non afferravano lo scopo di quella messinscena che sembrava evocata col proposito,fine a sè stesso, di stupire le tetre mura del carcere. Anche Dio, Cristo, la Madonna e i Santi spuntarono con fattezze da animali, seguiti da un codazzo di angeli con le ali viola e il capo del pettirosso.

La piccola folla si aggirò sul palcoscenico improvvisato , cadenzando i passi sul ritmo dei tamburi e agitando le braccia in aria per lanciare anatemi. La dissacrazione e la bestemmia ora si facevano immagine e grido nelle figure avvezze, per una vita,a esclamare: Dio Serpènt o Dio Càn.

Un bestemmiare con " Celestìa ", secondo il linguaggio della malavita, quando il blasfemo è una furia del credere
e insieme, un'estrema richiesta di aiuto dal cielo.
Contro la giustizia amministrata nel modo peggiore, il potere corrotto , il tradizionale " destino infame ".

Gli agenti di custodia ebbero una sola incertezza : se fare o meno immediato rapporto al direttore
( assente, a casa a santificare la Pasqua, come gran parte delle guardie ausiliarie ) allorchè la Madonna
comparve con la testa di capra ,corteggiata da Dio con la testa di capro, perchè così si comportano i capri quando vivono una fugace stagione degli amori.
Ma lo spettacolo era stato regolarmente autorizzato.

Negare una richiesta che appariva giocosa, per quanto bizzarra , avrebbe significato gettare olio sul fuoco in carcere sovraffollato - oltre tremila i reclusi - che negli ultimi mesi era diventato una polveriera.

D'improvviso , Ezio pretese il silenzio. Avanzò nella luce piena di un riflettore, si concentrò. Da ragazzo si era esibito come uccellatore nelle gare della " Chiama " lungo i Navigli.

. . . uscì dal suo raccoglimento e prese a fischiare modulato, rivolto in alto, verso i Bracci dove i reclusi , a centinaia , si affacciavano dalle celle, impugnando le sbarre. I detenuti travestiti da uccelli parlatori risposero stornellando a loro volta , come smaniosi di tuffarsi sul loro capo ; garante di ironie e speranze, che sapeva capire , più di ogni altro , i loro drammi in gabbia. Nessun accento di volgarità. Solo una fitta cupola di fischi
che si intrecciarono armonizzandosi nei passaggi di tono . Come se San Vittore fosse stato invaso da una miriade di cicale.

Gli agenti di custodia riferirono in seguito :

- Un carcere trasformato in uccelliera . Sembrava di assistere a una foresta umana che si risvegliava, con i suoi
suoni primitivi , dopo un lungo letargo.

Fu invece il simbolo convenuto.

Il segnale della "Rivolta di San Vittore " , che doveva essere ricordata ,fino a farsi leggenda, come

- LA PASQUA ROSSA -