Uomini e dei della Mesopotamia

Uomini e dei della Mesopotamia

Autori: Jean Bottéro e Samuel Noah Kramer

Dati: 1992, pp. XX - 805, illustrato con 17 immagini bianco/nero, cofanetto

A cura di Giovanni Bergamini
Introduzione di Giovanni Bergamini
Traduzione di Alessandro Cellerino e Michela Ruffa

Casa Editrice: Einaudi (collana I Millennii)

Trattazione: Mitologia sumerica, babilonese e assira

 

RECENSIONE:

Questo volume, talvolta definito a ragione monumentale, costituisce un’opera importantissima nel panorama delle pubblicazioni in italiano della letteratura mitologica dell’antica Mesopotamia. Al di là di alcuni fisiologici difetti che una pubblicazione di questo genere inevitabilmente presenta data la sua mole, il libro offre cinquantuno testi di carattere mitologico dalle differenti caratteristiche di impostazione, lunghezza, scopo, tema, etc., che permettono una conoscenza veramente ampia, anche se non completa, del cuore della mitologia scritta in Mesopotamia dall’epoca sumerica fino a quella neoassira. Diciamo subito che fra le lacune che a nostro parere è possibile rilevare, c’è la scelta di non includere due testi che gli autori non reputarono di carattere mitologico: le storie di Etana e di Adapa che però, al contrario, altri includono in tale genere (v. ad es. il Furlani in Poemetti mitologici babilonesi e assiri da noi recensito in Biblioteca). Aggiungiamo anche la mancanza di un indice analitico di nomi e personaggi che sarebbe molto utile in un testo del genere, e non ci sembra sufficiente la motivazione degli autori che tanto i commenti ai singoli testi sono già provvisti di continui rimandi interni. Ciò detto, vi sono infine piccoli errori di riferimenti che rimandano a pagine sbagliate, dato che riportiamo giusto come segnalazione ma a cui non diamo particolare importanza, ripetiamo, data la mole del lavoro, ed oltre tutto non è responsabilità degli autori ma dell’editore.

Finite le osservazioni “negative”, sottolineiamo i pregi indiscutibili di un lavoro siffatto, che sostanzialmente risiedono tutti nella vasta documentazione presentata e nell’apparato dei commenti che accompagna ogni singolo testo, perché le due cose complessivamente sono di grande qualità. Questo dipende dal fatto che sia Bottèro che Kramer furono due fra i più grandi studiosi di queste materie, il primo più indirizzato allo studio delle genti semitiche del Vicino Oriente Antico, mentre il secondo fu un eminente sumerologo che diede un impulso notevole all’individuazione ed alla traduzione di centinaia di tavolette cuneiformi. La maggior parte del materiale presente in questo libro lo si deve a quest’ultimo, dato che si trova redatto in sumerico. Ciò non di meno, l’apparato critico lo si deve sostanzialmente a Bottèro in accordo, ovviamente, al suo collega. Aggiungiamo anche che talvolta si può riscontrare, a nostro parere, in situazioni che per noi restano e resteranno soggette a ipotesi per mancanza di dati sicuri, un’inclinazione interpretativa che predilige quella che potremmo definire una "visione semitica" (Babilonesi ed Assiri) a scapito di quella sumerica; ma in questo non vi è da ravvisare nulla di male e tanto meno è da considerare un errore, dato che giustamente ogni autore interpreta la storia, soprattutto quando appunto non vi è certezza documentale, secondo il proprio sentire.

Un aspetto del libro che si può considerare molto positivo è a nostro parere il tentativo di contestualizzare storicamente ogni singolo mito, nel senso di ritrovare negli stessi testi, quando è possibile, le tracce di accadimenti particolari o di fasi generali su cui, per lo meno in parte, si è voluto costruire un racconto mitologico con lo scopo di trovarne le ragioni in definitiva superiori. Un esempio possono essere Il matrimonio di Martu , che rimanda all’epoca dell’incontro tra civiltà sumerica e popolazioni nomadi amorree, e della loro conseguente trasformazione in stanziali, o Il poema di Agušaya che rimanda esplicitamente all’epoca di ammurabi (1792 – 1750 a. C.), o ancora Il Matrimonio di Sud in cui si ritrovano tracce di un’epoca in cui la città di Ereš dovette rientrare nella sfera di influenza religiosa e politica di Nippur. Al di là di questo, comunque sia l’analisi dei miti presentati è sempre soddisfacente se non esaustiva (d’altronde come potrebbe esserlo?) da vari punti di vista: riguardo la costruzione letteraria, quella prettamente mitologica, le domande di partenza da cui scaturirono i racconti, le abitudini sociali che possono trasparire, le evoluzioni della visione religiosa nel corso dei millenni, od anche alcune disquisizioni terminologiche.

Diamo qui di seguito la suddivisione tematica secondo la quale vengono raggruppati i testi proposti:

  1. Enlil il Grande
  2. Enki/Ea l'ingegnoso
  3. Inanna/Ištar guerriera e sensuale
  4. Ninurta il prode
  5. Genesi: teogonie, cosmogonie e antropogonie
  6. La grande genesi babilonese: dalla creazione dell'uomo al diluvio
  7. La glorificazione di Marduk
  8. L'ultima grande composizione mitologica

 

Tra i testi da sottolineare, secondo noi vi sono sicuramente:

  • tutto il capitolo dedicato ad Atraasîs e al diluvio: il lavoro si rivela di grande qualità perché decisamente esaustivo (almeno per quanto riguarda i testi fino all’epoca conosciuti: negli ultimi anni sono state tradotte tavolette con particolari differenti, come la forma rotonda dell’arca) nel presentare la versione paleobabilonese corredata anche dei vari frammenti e annesse differenze testuali, ma anche nell’accompagnarla con la versione sumerica di Ziusudra (corrispettivo di Atraasîs e di Noè) e quella ninivita dell’Epopea di Gilgameš.

  • l’Enuma eliš, la cosidetta Genesi babilonese e qui giustamente presentata come la Glorificazione di Marduk, base letteraria per comprendere la religione babilonese e i suoi riti, nonché certi meccanismi della costruzione politica di quell’epoca.

  • l’Epopea di Erra, l’ultima grande composizione mitologica a noi giunta dalla storia, potente nel linguaggio, nelle immagini e nel racconto; imperdibile.

  • tutta la sezione dedicata ad Inanna, ma in particolare la parte dedicata al suo amore con Dumuzi e al ciclo di testi che fa riferimento a questi, e Il poema di Agušaya, interessante sia nel testo in sé stesso che nella sua analisi, in particolare della possibile etimologia del nome di Agušaya e dell’origine della danza rituale in onore della dea Inanna.

  • il Lugal.e (o Ninurta e le pietre) e l’An.gim (o Ritorno di Ninurta a Nippur) che definirei affascinanti sia nelle traduzioni dei testi in sé stesse, che nell’immagine del dio Ninurta e quanto ad egli connesso che emerge complessivamente dalla loro analisi.

Ultima annotazione che ci permettiamo di fare: talvolta sorge il dubbio che, facendo una comparazione con lavori di altri autori, la traduzione possa essere non sempre perfettamente letterale; è d’altronde un’avvertenza che lo stesso Bottèro fa nella sua introduzione al volume rivendicandola come scelta voluta per rendere, quando necessario, più fruibili le traduzioni. Non ci trova completamente d’accordo, ma possiamo affermare che dopo tutto non ne viene certo compromesso il lavoro complessivo. Lavoro che, per quanti interessati all’argomento, non può certo mancare nella propria biblioteca.